Roberto Diso: il disegno (e il fumetto) come linguaggio

Dunque... Come penso saprete, disegnare fumetti è il mio mestiere.

Potrei così cominciare questo articolo affrontando subito l'argomento, fornendovi chiarimenti su quelli che sono gli aspetti più particolari di questo lavoro. Infatti, sebbene esso sia ben conosciuto da quasi tutti nel suo aspetto finale - cioè quello della rivista, quando questa viene messa in vendita - ben pochi sanno di quanto avviene prima di questo "evento": durante la fase di studio preliminare, in un primo tempo e poi durante il lavoro di realizzazione vero e proprio, in vista del prodotto che il lettore troverà nelle edicole.

Vorrei prima, però, se ciò mi è consentito, prenderla (come si dice) un pochino alla larga... parlandovi del disegno più in generale e magari soffermandomi sulle idee un pò preconcette che il lettore, in genere interessato, ha spesso nei confronti del disegno.

Saper disegnare a un buon livello è giudicato dai più non proprio facile. Si pensa normalmente ad una capacità piuttosto rara che la sorte concede ad alcuni, mentre agli altri resta solo la possibilità di invidiare chi questa capacità possiede.

Bene, visto che queste ultime sono in genere persone che, se pur non dotatissime come capacità artistiche, certamente sono piuttosto interessate all’argomento, a queste persone dico che disegnare (e disegnare bene) non è affatto una meta così difficile da raggiungere. Credo anzi che quasi chiunque potrebbe riuscirci incontrando non molte più difficoltà di quante se ne affrontano normalmente imparando a scrivere. O almeno, se vogliamo essere più precisi, del tipo di quelle che si incontravano una volta quando si imparava a scrivere con bella calligrafia.

Infatti, se immaginassimo per assurdo che il disegnare fosse assolutamente necessario per comunicare con gli altri; che so? Se l'umanità, ad esempio, non avesse ricevuto il dono del linguaggio verbale; bene, non pensereste anche voi che praticamente tutti riuscirebbero a disegnare allo scopo di comunicare con gli altri ad un livello almeno dignitoso?

Che cosa può mancare dunque a quell'individuo che con evidente e sincero rammarico ci confessa la sua costituzionale incapacità a disegnare, anche se viene messo di fronte agli oggetti più semplici ? Bene, io direi: semplicemente e soltanto la voglia di sacrificare tempo ed altri interessi alla pratica del disegno!

Del disegno, infatti, non è difficile tanto il fatto tecnico, manuale, che sappiamo può essere appreso con relativa facilità perché del tutto riducibile ad una serie di applicazioni geometriche, elementari o quasi; quanto avere un reale e profondo interesse per lo stesso... notevole capacità di concentrazione, accentuato spirito di osservazione, curiosità per quello che ci sta attorno, sia vivente che inanimato, attenzione ai particolari nonché pratica assidua del disegno con esercizi prolungati eccetera.

Non è poco, lo so, ma d'altronde non sono questi gli atteggiamenti mentali che, in qualsiasi direzione essi vengano utilizzati, danno dei sicuri risultati?

Certo non è proprio il caso di immaginare una popolazione fatta tutta di grandi artisti. Di gente però che sia in grado di comunicare con il disegno ad un accettabile livello, sì: per me questa è una cosa che si può immaginare senza grande fatica.

Naturalmente non essendo, come appunto sappiamo, la pratica del disegno necessaria per sopravvivere, essa rimane appannaggio di coloro, relativamente pochi, che la considerano un piacere se non addirittura un bisogno. E forse, tutto sommato, è meglio così!

Quanto vi sto dicendo, penserete, è fatto di cose risapute e magari è anche vero... ma a me sembra che non sia male, ogni tanto, dare una ripassata alle cose, seppure ovvie, che proprio per l'essere ovvie vengono alla fine anche troppo trascurate.

Bene, a questo punto mi fermo: ho solo cercato di dare a me e a voi lo spunto per un qualche approfondimento su aspetti del disegno che forse, tutto sommato, lo meritano.

Possiamo, adesso, anche parlare della nona arte cominciando col dire che alcuni considerano i fumetti già portatori, se non di un nuovo linguaggio, almeno dei suoi primi rudimenti. La struttura stessa delle storie porta, infatti, con la concisione tipica del testo e delle situazioni grafiche, alla elaborazione - appunto - di una sorta di linguaggio che, grazie alla sua sinteticità ed efficacia, è stato in qualche misura adottato nel parlare comune dai giovanissimi... e talvolta anche dai non più tali, quando questi ultimi vogliano dimostrare di non essere in "gravissimo" ritardo nei confronti dei primi.

Immagino che anche nel vostro caso, come accade per la maggior parte dei lettori appassionati del genere e necessariamente digiuni di quanto concerne l'aspetto tecnico di questo tipo di lavoro, quello che più incuriosisce sia l'iter realizzativo. In altri termini, come nasce e si sviluppa una storia a fumetti! (?) Domanda oltretutto legittima, dal momento che molto spesso chi se la pone é un appassionato (e in quanto tale detentore, a mio parere, di alcuni diritti) o di un personaggio o di un genere narrativo - di un ambiente magari - o anche di un autore, quando questi con la sua personalità abbia caratterizzato ed identificato in maniera significativa tutta la sua produzione.

Bene. Si sa dunque che l'appassionato è normalmente interessato non soltanto all'oggetto "Fumetto" in sé ma anche a tutto quello che lo riguarda direttamente o indirettamente e anche di quella (come detto) che ne è la fase realizzativa, che - bisogna riconoscerlo - contiene elementi di indubbio fascino per il profano.

Come può iniziare perciò una storia di questo tipo?

Prescindendo dal fatto che ogni autore ha un suo proprio metodo di lavoro, in linea generale possiamo dire che si comincia con un "canovaccio", un abbozzo di storia scritta dallo stesso disegnatore o da un narratore o da uno sceneggiatore che opera in collaborazione con lui.

Questo canovaccio può ispirarsi, come spesso accade per le storie narrate, a fatti della vita reale, storici o contemporanei, come pure può ricorrere all'immaginazione, anche la più spinta, non dimenticando in ogni caso che questo deve avere come caratteristica, a mio parere fondamentale: quella per cui il lettore deve essere portato a pensare che "quella storia", per quanto estrema sia la situazione descritta, "possa in qualche modo accadere "; altrimenti, tutto l’insieme diventa poco accettabile e con esso lo stesso disegno.

Questo vuol dire che è molto, molto importante che le due colonne portanti della storia, quella scritta e quella disegnata, si armonizzino al massimo tra loro: così da creare un ben lubrificato meccanismo. A questo riguardo, sarebbe auspicabile - anche se non sempre accade - che i due coautori si conoscano bene tra di loro (meglio se sono addirittura amici) cosi da costituire un tutt'uno nel quale i relativi apporti psicologici e narrativi non entrino tra loro in contatto se non per arricchirsi scambievolmente.

Molte belle "serie", infatti, sono state prodotte da coppie ben affiatate di autori, anche se più di una volta è comparso solo uno dei due nomi (forse per suggerire al lettore il prodotto di una sola mente realizzativa). Queste collaborazioni non si producono frequentemente quanto dovrebbero. Lo impediscono motivi diversi, di carattere logistico generalmente, dal momento che non è raro che la ormai complessa organizzazione di una qualsiasi casa editrice costringa a lavorare insieme autori che spesso risiedono in città diverse mentre la stessa casa opera da una terza.

Tutto questo, come è evidente, complica un poco le cose... ma è anche vero che oggi la facilità di scambiarsi notizie, o persino di proficuamente dialogare attraverso qualche strumento tecnico, consente di superare in molti casi la barriera della lontananza.

Tra l'altro sempre più spesso vengono organizzati raduni e incontri durante i quali gli autori hanno modo di incontrarsi anche per più giorni così da avere la possibilità di conoscersi meglio e arricchire il loro rapporto collaborativo.

Comunque, una volta risolto il problema dell'imbastire una storia si passerà alla rifinitura del testo con i necessari arricchimenti narrativi; quindi alla suddivisione in quadretti ed infine ai dialoghi che impegneranno non poco anche il più sperimentato sceneggiatore. A questo punto avviene lo scambio delle consegne: il disegnatore avrà finalmente in mano il copione che leggerà attentamente mentre prenderà appunti sulle caratteristiche sia dei personaggi sia degli ambienti nei quali la storia si svolge, come anche degli oggetti che eventualmente appaiano nella stessa e abbiano un "ruolo" di un certo rilievo. Su tutto quello che, in altri termini, possa avere importanza per la realizzazione di un lavoro ricco e ben studiato. Si passa poi allo studio grafico di quegli elementi: personaggi, ambienti od oggetti per i quali ciò possa essere necessario. Ovvio che in una "serie" in corso già da qualche tempo alcuni dei protagonisti e certi ambienti siano stati già graficamente risolti.

Quindi si passerà ad affrontare, matita in pugno, la tavola bianca.

Che poi bianca non lo sarà del tutto, dal momento che il disegnatore avrà in precedenza provveduto a riquadrarla così che ogni singola vignetta, con i relativi dialoghi inseriti nelle "nuvole", abbia una sua precisa collocazione nella tavola stessa.

Matita in pugno, dicevamo... perché naturalmente è con la matita che verrà realizzato il primo abbozzo del disegno sul quale sarà poi fatale apportare delle correzioni. Infatti, sia la matita sia la stessa "gomma da cancellare", per la sua capacità di rimediare agli errori, sono mediatori di importanza fondamentale per chiunque faccia questo lavoro.

Poco per volta il disegno si farà cosi più rifinito, sino a quando l'autore riterrà giunto il momento della fase successiva e definitiva: il cosiddetto "ripasso" a penna o a pennello con l'inchiostro di china, dopo il quale eventuali correzioni si faranno decisamente più complicate.

Nulla osta, naturalmente, che ogni autore scelga lo strumento che più gli aggrada per realizzare la propria opera; c'è infatti chi preferisce il pennello, rigido o flessibile, o il pennino, o persino un raffinato e definitivo disegno a matita che ha oltretutto il pregio di una plasticità difficilmente raggiungibile con gli altri strumenti. Si tratta però di casi rari, nella grande maggioranza la scelta cade sui più che classici pennello e inchiostro di china.

Potremmo anche spendere qualche parola sui nuovi strumenti che la tecnica digitale ci fornisce oggi e che consentono di fare anche a meno del supporto cartaceo. Lascerò comunque che siano altri a farlo, dal momento che io non me ne intendo abbastanza e, in ogni caso, sono troppo legato al "FOGLIO" per pensare di abbandonarlo.

Che altro dire su questo lavoro? Per esempio, quanto sia importante (ma questo vale soprattutto come consiglio per gli autori più giovani) chiarirsi il prima possibile, magari studiando il lavoro degli autori più affermati, quale sia il genere grafico che è a noi più congeniale.

Questo perché occuparsi delle cose che ci piacciono ci renderà tutto più facile e i risultati saranno, a breve termine, sicuramente migliori. E non voglio affatto dire che ci si debba limitare negli orizzonti professionali... ma che, dopo essersi fatti le "ossa", sarà meno complicato affrontare anche le situazioni più difficili... e nello stesso tempo sviluppare al meglio uno stile personale.

Altro elemento di non secondaria importanza è l'archivio: quanto più esso sarà ricco tanto più agevolerà il lavoro del disegnatore; gli consentirà più continuità e l'immaginazione potrà esprimersi meglio, senza dover cercare altrove elementi di documentazione che possono essere non facili da reperire. Infatti, quello che potrà proporci uno strumento documentaristico pur straordinario come internet con le sue pur enormi possibilità, non sempre ci potrà soddisfare come il materiale che a suo tempo avremo selezionato e scelto prima di sistemarlo in archivio.

Per quanto riguarda il mio metodo di lavoro, in genere ma non sempre, procedo così:

Schizzo sommariamente a matita la tavola in un formato piuttosto ridotto, in A4 generalmente, poi la ingrandisco con la fotocopiatrice in A3 e successivamente la riporto, tramite il tavolo luminoso, sulla tavola definitiva sempre in A3, intervenendo spesso con piccole modifiche ma sempre piuttosto sommariamente; in ogni caso, curando la disposizione dei personaggi da far sì che la lettura risulti la più facile: in altri termini, facendo in modo che i fumetti non si incrocino.

In seguito rifinisco il tutto sempre a matita, finché la tavola non è pronta per essere ripassata a china. Questo mi consente di non maltrattare troppo la carta con correzioni e ripensamenti, perché anche le sole sgommature contribuiscono al deterioramento della superficie della carta e quando si ripassa a china questo può rappresentare un problema in più.

Ultima fase, il definitivo ripasso a china.

Posso dire, per concludere, che quello del disegnatore è un lavoro anche duro quando - come talvolta capita - bisogna ignorare divertimenti o vacanze per portare a termine un impegno che si è preso e che bisogna onorare. Ripagato, spesso ampiamente, dal profondo piacere che questo, come del resto ogni lavoro creativo, dà a chi lo realizza. Se poi si pensa, consentitemi la battuta un pò logora, che normalmente viene anche pagato... beh... mi sembra che non ci sia proprio da lamentarsi.

Io non mi lamento.

GRAZIE A TUTTI 

Roberto Diso