IL SEGNO

Il segno con cui si definisce una vignetta/strip è importante, molto importante, si potrebbe dire… Beh, punti di vista, a guardare certi cartoonist di oggi…

Il segno, il tratto, caratterizza il modo di essere del cartoonist, la sua filosofia, la velocità o la calma del suo pensiero, il tempo che ha avuto a disposizione per la realizzazione dell’opera, il mezzo sul quale la vignetta è pubblicata (tipo e qualità), il periodo storico in cui ha operato l’Autore.

Il segno è importante, oltre al testo.

Il segno ci può far innamorare di un cartoonist o rigettarlo a pié pari, ci fa venir voglia di imitarlo, ci fa venir voglia di essere lui stesso. Tutto ciò vale anche per il fumetto, ovviamente, ma la vignetta satirica è una, un piccolo spazio che colpisce la retina e l’immaginazione in un attimo, senza bisogno di sfogliare tante pagine.

L’analisi del tratto ci permette di capire l’evoluzione del cartoonist ma anche l’evoluzione della sua epoca. Se analizziamo le vignette del passato, andiamo dagli schizzi del Bernini al disegno elaborato di Hogarth e di Grandville, per passare attraverso il tratteggio di Galantara (Ratalanga) e Scalarini e le snelle figure di Sto, per fare poi un grande balzo allo Snoopy di Schulz, agli americani che l’avevano preceduto poco prima e a tutti quelli che l’hanno seguito fino i giorni nostri, passando per gli elzeviri di Pericoli e Pirella, a Forattini l’inglese venditore, agli arabesKi di Elle Kappa, al segno “buttato via” di Vincino, al pennino graffiato di Staino e alla ligne claire di Altan. E degli altri di cui non dico non me ne vogliano, ma sono troppi.

A  me piace ricordare il genio sregolato e anarchico di Tomi Ungerer (è del 1931), che si permetteva di fare vignette surreali e/o erotiche come quelle qui sotto mentre oggi, alla sua veneranda età, scrive e illustra ancora libri per bambini. Ha vinto premi Andersen come autore e come illustratore, ma nessuno ricorda queste cose meravigliose.


(l’immagine è tratta da “i disegni di Ungerer”, Garzanti, 1976)

Qui sotto due vignette di autori sicuramente a voi sconosciuti, Alberto Catalani e Torriaca, disegnavano sul mitico giornale per ragazzi Il Vittorioso: Catalani, romano, fu soprattutto fumettista, illustratore e pittore (l’ho conosciuto fino all’anno della sua scomparsa, mi ha dato delle dritte sulla colorazione a tinta piatta dei fumetti, era un signore d’antan); Torriaca, credo di Cremona… è uno schiribizzo delle mie inchieste, delle mie scorribande nella storia della linea e della battuta, un autore minore, certo, ma mi piace il suo segno pulito ed elegante di alcune sue vignette. Le battute di queste gag non erano le loro, ma del numeroso pubblico di ragazzi lettori che li seguivano e che inviavano le battute in redazione.

Scusate la divagazione. Ma era tanto per farvi vedere come un innamorato passionale di queste cose non si fermi all’oggi, che può essere interessante, sì, ma anche in questo campo ha perso molti dei suoi attori, e i nuovi, senza offesa per i viventi, non mi sembra riescano a “tener botta”, come dicono nella dolce “parlata gallica” che dal Montefeltro delle Marche sale su per tutta la Romagna.

Questo discorso ovviamente vale anche per il fumetto, e ce lo sintetizza Laura Scarpa (oltre a tutto il resto ;-) anche direttrice di Scuola di Fumetto) quando nel bellissimo libro che ha curato su Hugo Pratt (Hugo Pratt, le lezioni perdute, Mompracem, Lit Edizioni s.rl., Roma, ottobre 2012) dice: “(…). L’impressione è che Pratt fosse un po’ (…) l’ultimo dei romantici, ma anche l’ultimo degli avventurieri. (…)… Pratt ha vissuto il momento conclusivo del grande fumetto d’avventura, nel quale ha fatto incontrare letteratura alta e bassa, cinema e realtà. (…)”. Finito! Non ci sono più, autore e genere.

E altrettanto vale per la satira.

Il tratto, sì.

Ma il tratto non è solo la nostra personalità, è anche lo strumento che usiamo per realizzarlo: pennino, pennello, rapidograph (non c’è più), pennarello, matita, biro, pastello, acquarello, tablet e Photoshop. Ho saltato qualcosa? Beh, forse il sangue, quando non c’è di meglio e in certe situazioni… si usa anche quello.

Non è questo lo spazio per una analisi puntuale, mi ci vorrebbe un saggio e non credo di aver proprio tempo di scriverlo perché ho tanto altro da fare, ma non spingetemi troppo perché io sono curioso ;-)

Un autore è libero di usare quello che vuole, può anche cambiare stile e strumento di disegno. Io ultimamente mi diverto qualche volta a prendere immagini dal web e trasformarle con gli strumenti digitali, mi piace, mi danno a volte l’effetto di straniamento che voglio, o anche l’attualità, il qui ora, la freddezza del cinismo dell’oggi. Ma altre volte torno al classico pennarello, alla ligne claire che evidenzia bene i personaggi e il gesto. O uso il pastello, spesso il blu, o la matita grassa, senza cancellare, la biro, mi diverte, mi rilassa… e mi fa perdere poco tempo. Ho usato la china e il pennino, il pennello, ai primi tempi. Ora è troppo.

L’importante, dico io, è che il tratto e l’immagine finale chiariscano il mio pensiero, diano uno stile alla mia voce, e siano efficaci nel linguaggio.

Sì: occorre chiarezza, linguaggio e personalità. Una vignetta non è un dipinto, e se usiamo strumenti pittorici, facciamolo per rendere bene la nostra idea, purché si distingua, ok, ma sia sempre chiara. Non disegniamo geroglifici, se ElleKappa si permette quella cifra, è perché ormai è il suo marchio di fabbrica e quello che conta nelle sue vignette non è il disegno, bensì il testo ovviamente, la battuta. A volte la battuta è aiutata dalla sinergia dell’immagine, dalla cinetica e dall’espressione dei personaggi. Altre volte no: se quello che conta è il testo, si può fare anche a meno dell’immagine.

Ecco mi sono divertito ad esemplificare il concetto.

Ma in verità, a me piace vedere dei personaggi che parlano. Forse perché, pur realizzando vignette, amo il fumetto, la narrazione, ed ho bisogno, come i bambini, di “vedere” delle figure. Chissà.

 

Eercizio

Provate a disegnare una vignetta, o usate una vostra che avete già pronta, o la vignetta di un autore che vi piace particolarmente. Bene. Ora trasformate la stessa vignetta in una immagine diversa usando un segno diverso. Passate da una cosa all’altra, anche completamente diversa, usate le immagini web, il collage. Il testo delle battute deve restare però lo stesso.

Alla fine guardatevi i risultati ottenuti e riflettete sull’effetto dei vari segni grafici sulla comunicazione finale della vignetta. Sono gli stessi? O ce n’è uno meglio degli altri… magari meglio di quello originale che ha usato l’autore in questione? Può succedere!

RC