Il Fumetto - caratteristiche e interpretazione del genere

Il 7 Luglio del 1875 apparve sul " The World " di New York una pagina piena zeppa di disegni caricaturali. E un monello - YELLOW KID - sarebbe passato alla storia come capostipite delle storie a fumetti.

L’inaugurazione del nuovo genere narrativo è da far risalire al 5 gennaio 1896, quando sulle camicie da notte del bambino giallo (Yellow Kid, appunto) comparivano alcune scritte. Così, attraverso una successione di tempo e di spazio, il dialogo venne racchiuso nei “balloons”, e nacquero i veri fumetti. Da allora si è avuta una continua evoluzione, che ha portato alla nascita di nuovi personaggi ed alla creazione di autentiche “meraviglie” ormai divenute veri e propri “imperi”… imperi anche economici: basta pensare alle incredibili realizzazioni del gruppo Disney, ai comics ed ai cartoons che hanno incantato intere generazioni di bambini, giovani e meno giovani. Ma il fumetto non è un’arte ad esclusivo utilizzo dei piccini, ma appunto il “genere nel genere”: le vignette non devono sempre essenzialmente far ridere, ma possono provocare, possono essere utilizzate per lanciare “messaggi”, descrivere con metodo semplice e chiaro il contenuto di un “libro” (le molte uscite editoriali sulle civiltà umane, la “storia d’Italia”…).

La descrizione di un genere, quello del fumetto, è impresa non dico ardua ma perlomeno impegnativa. Non perché sia difficile capire gli eventuali contenuti, metodi e stili di disegno rilevati nel lavoro di “professionisti del fumetto”, ma perché è difficile il voler generalizzare un argomento così ampio (se ne potrebbero citare diverse, di “varianti” stilistiche e narrative): sarebbe cosa alquanto “restrittiva”, che porterebbe verso un’esposizione incompleta. Il limitarsi ad elencare quindi (finché mnemonicamente possibile) le molte metodologie rappresentative universalmente utilizzate per il “genere” (se di “genere” però si può parlare) credo sia un incarico sostenibile e comunque un mezzo utile verso analisi soggettive che lascino poi al lettore (se autore di fumetti e vignette) un bagaglio importante per capire le più efficaci scelte di “forma”.

Nel saggio “Essay on Comic Art”, Will Eisner, l'autore di “The Spirit”, scrive: "La prima fase di ogni narrazione a fumetto è il testo. Non importa se esso è ordinatamente dattiloscritto o scarabocchiato su un pacchetto di sigarette. Senza un canovaccio, anche mentale, la storia non ha possibilità di sviluppo. Anche un autore “completo”, che scrive e illustra da solo le sue storie, è prima sceneggiatore e solo successivamente disegnatore". E poi dunque arriva il disegno… Il disegno, deve avere una solida struttura: i personaggi devono "stare in piedi"; la loro anatomia deve "funzionare". La prospettiva dev'essere esatta, così come i giochi di ombre e di luce. Insomma, è necessaria una certa conoscenza "accademica" del disegno. La deformazione grottesca, l'esasperazione nello stile "Super Eroi", la sintetizzazione alla Hugo Pratt (o, nel disegno comico, alla Johnny Hart) possono avvenire solo quando si è già in grado di disegnare "accademicamente". Ispirarsi direttamente alla deformazione senza aver digerito "l'accademia" genera grafismi privi di struttura.

Le parole onomatopeiche

Le parole onomatopeiche, o onomatopèe, sono dei vocaboli che descrivono o suggeriscono suoni e rumori a imitazione di quelli reali. Nelle vignette hanno il compito principale di richiamare alla mente del lettore delle sensazioni acustiche, ma la loro funzione è anche quella di essere elemento di supporto alla composizione pittorica del riquadro, oltre che alla maggiore espressività della vignetta. Nel fumetto vengono usate numerose onomatopee che si possono definire “convenzionali”, nel senso che per particolari rumori si usano sempre le stesse trascrizioni. Ciò è dovuto a un motivo storico: la produzione dei fumetti europei e italiani è stata molto influenzata da quella americana, dove le parole onomatopeiche erano collocate fuori dalla nuvoletta. Sarebbe stato molto difficile, perciò, modificarle senza trasformare anche la vignetta. Si tradussero, allora, in italiano le parole delle nuvolette e si lasciarono inalterate le onomatopee che si affermarono come tali, per tacita “convenzione” dei disegnatori. Del resto, così com’erano, visualizzavano efficacemente i rumori e alcuni suoni, derivando direttamente dai termini inglesi di origine onomatopeica essi stessi. E le parole onomatopeiche rappresentano molto bene, ad esempio, il rumore rombante del motore (roaar, dall’inglese roar = rombo) e lo stridio delle gomme sull’asfalto (skreek, dall’inglese to screech = stridere); il fracasso delle assi di un ponte, che crollano nel fiume sottostante (kerash, dall’inglese to crash = crollare con fracasso); il rumore degli spari (bang bang, dall’inglese bang = colpo di fucile); il battere dei pugni il cui rumore, bump, viene dall’inglese bump = urto, colpo; e il rumore prodotto da una porta chiusa con violenza (slam, dall’inglese to slam = sbattere, chiudere violentemente).

La metafora disegnata

Il termine metafora vuol dire letteralmente “trasferimento”: si tratta di un espediente linguistico grazie al quale, sostituendo un termine proprio, con un termine figurato riusciamo a rendere più efficace il nostro linguaggio, e anche più suggestivo. Anche il fumetto usa le metafore, solo che, non potendole scrivere, essendo il linguaggio del fumetto un linguaggio figurato, le rende “visive” per mezzo di immagini: esse, e meglio di qualsiasi parola, esprimono con molta immediatezza stati d’animo, situazioni particolari, circostanze e pensieri. In pratica il fumetto usa dei simboli per suggerire al lettore l’idea astratta, ai fini di una comunicazione immediata ed efficace. Le stelline intorno alla testa del personaggio indicano una sensazione di dolore, così come anche le linee di movimento circolare, i simboli di scoppi luminosi e i cerchiolini; per indicare il risveglio da un improvviso stordimento dovuto a un colpo o a una caduta si usano uccellini che volano e cinguettano intorno alla testa del personaggio; i cuoricini simboleggiano l’amore; la lampadina accesa dentro la nuvoletta di pensiero significa che il personaggio ha un’idea “luminosa”, brillante; se un personaggio canta, e le note disegnate sono contorte e tremolanti, vuol dire che il personaggio è stonato, se invece le note sono disegnate in modo regolare e ordinato significa che questo è intonato; la rappresentazione della “coscienza” (l’angioletto e il diavolo, sulle spalle del personaggio) è una delle metafore più sofisticate: rappresentano la lotta tra il bene e il male; un’altra metafora molto comune è uno sbuffo di fumo sulla testa di un personaggio: indica rabbia impotente, e il disappunto appare anche dall’espressione del volto.

I suoni inarticolati

I suoni inarticolati sono quelle parole che suggeriscono al lettore rumori e suoni prodotti dai vari personaggi per esprimere particolari stati d’animo (noia, rabbia), istintive reazioni a stimoli improvvisi (dolore), emozioni istantanee di fronte a situazioni eccezionali (paura, sbalordimento, soddisfazione). Questi suoni, come le onomatopee, hanno anche la funzione di partecipare con gli altri elementi alla composizione e all’espressione della vignetta. OOPS!: è il suono emesso da un personaggio quando inciampa; BZZ-BZZ… PSS…: sono suoni usati per indicare che un personaggio sta bisbigliando qualcosa all’orecchio di un altro; OUCK!: è il suono di quando si riceve un colpo; GRRR!: è il suono che esprime un sentimento di rabbia repressa e di aggressività; PUF! PUF! PANT! PANT !: sono i suoni dell’affanno e della corsa; ZZZ… ZZZ…: è il suono del dormire e del russare; HIC!: è il rumore del singhiozzo, a volte è il singulto dell’ubriaco ed è accompagnato dalla metafora dei cerchiolini; SOB!: è il suono del pianto moderato (nel caso del pianto di un neonato diventa UEHHH!); SIGH!: è il suono che indica delusione, ma qualche volta anche commozione e singhiozzo; GASP!: questo suono può indicare rabbia contenuta o constatazione di un dato di fatto di fronte al quale si è impotenti; TSK… TSK…: è il suono prodotto da chi si dà molte arie e si sente superiore.

La Biblioteca di Babele

Tutti i dati ricavati dalla "cultura generale", dall'osservazione critica, dall'informazione professionale, dalla documentazione devono inserirsi in una sorta di archivio mentale che ci piace chiamare Biblioteca di Babele. Forse più corretto del termine "Biblioteca" è il termine disciplina: l'abitudine cioè a non considerare le informazioni come aride schede separate, ma come un tutto dove i dati sono interattivi e collegati tra loro, e dove, ogni nuovo dato va automaticamente ad inserirsi tra due dati già conosciuti e già collegati tra loro per mezzo della "cultura generale" e dell'intuizione, sostituendo all'intuizione un'informazione in più. Ci sono persone, come Hugo Pratt, che riescono a impadronirsi istantaneamente di un nuovo aneddoto o di una nuova informazione e a "farla propria", personalizzandolo con numerosissime considerazioni. In realtà queste persone "conoscono già" (attraverso l'intuizione e la" cultura") quel "nuovo" aneddoto o quella "nuova" informazione: infatti sanno già "cosa viene prima" e "cosa viene dopo"; l'aneddoto o l'informazione sono solo la tessera di un mosaico già formato, e questa nuova tessera può far scattare "l'idea" per scrivere o illustrare una storia. [da “Come si diventa Autore di Fumetti”, 1983; testo © by Alfredo Castelli, disegni © by Silver]

[Alcuni contenuti presenti nello scritto sono tratti dal testo “Parole e Messaggi” di Cerbo Bisazza Mandurrino © 1987 Gruppo Editoriale Fabbri, Bompiani, Sonzogno, Etas S.p.A. – Milano]


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Emanuele Upini