Fumetti a tuttotondo: intervista a Francesco Bisaro

Per chi non l'ha incontrato alla scorsa Riminicomix, FdC e IMIM hanno incontrato il 45enne Francesco Bisaro, che dopo anni di lavori "sottotraccia" ha esordito in prima persona con Don Camillo a fumetti.

Articolo già pubblicato sul periodico Fumo di China n.296 dell'aprile 2020.

Emanuele: Francesco, è da molto tempo ormai che io e te ci conosciamo anche se solo in maniera virtuale. Apprezzo da sempre i tuoi disegni, ma fino a pochi anni fa le tue collaborazioni erano esclusivamente di carattere locale. Tranne le esperienze con lo studio Barison, incominciate nel lontano 1998, per il quale realizzavi gli sfondi di fumetti quali "Diabolik" e "Geox" per il mercato italiano, "Tatiana K, de Silence et de Sang" e "Yakuza" per il mercato francese. Parlaci, ora, di come sei riuscito poi a entrare nello staff - dove ormai sembri inamovibile - del "Don Camillo a Fumetti" edito da ReNoir Comics.

Francesco: Nel 2013 ho avuto modo, tramite un amico e collega comune, Roberto Meli, di presentarmi a Davide Barzi, curatore della collana. Avviai l'approccio in chat, con una illustrazione che molto aveva a che fare con i caratteri di Fernandel e di Cervi. Ma la serie non prevedeva i due attori come modello per i personaggi e, in più, il mio disegno era in stile umoristico, non realistico. Due errori in uno, per il Barzi che concepiva il "Don Camillo a fumetti" in una maniera totalmente diversa da quella che era la mia visione. Volle però darmi una seconda possibilità con un provino su un paio di tavole sceneggiate da lui, su storie del "mondo piccolo". Dopo questo primo provino ne feci un altro, su vicende dei due protagonisti. Episodio 60, "Miseria". E lì, entrai. Era il 2014, il mio ingresso alla Renoir Comics partì con cinque storie del Don Camillo n.9.


Francesco Bisaro in fiera, allo stand ReNoir

Emanuele: Cosa ti ha lasciato, cosa ti sta lasciando e cosa ti ha insegnato a livello professionale la tua collaborazione al "Don Camillo a fumetti"? Quali porte ti ha aperto?

Francesco: Nessuna porta in realtà. Lì sono... e lì resto, pare. Ma mi sta dando molte soddisfazioni. Per questo, mi va bene lo stesso. Ho fatto esperienza su un tipo di lavoro difficile, con uno sceneggiatore molto esigente. Con pazienza ho lavorato su tavole dettagliatissime, con sceneggiature mirabilmente scritte sempre dal Barzi. Poco inclini a deviazioni personali, purtroppo, ma questo proprio perché ben scritte. Davide mi ha fatto capire la differenza di professionalità che c'è fra i vari sceneggiatori, parlando in generale si intende. Leggendo altre sceneggiature, salta subito all'occhio. Alberto Guareschi, poi, è una persona davvero gentile. Lui stesso supervisiona tutti i fumetti e mi ha messo a mio agio fin da subito. Ora, sto facendo una storia di venti tavole che si intitola "Il fischio". Impegnativa, per la quale cerco di dare il meglio. Sono molto contento del fatto che Alberto ha mostrato apprezzamento per me, quando ha saputo che "Il fischio" l'avrei disegnata io.

Emanuele: Hai altre collaborazioni al momento, oltre a quelle per il "Don Camillo a fumetti"?

Francesco: Sì. Dal 2017 collaboro con una piccola casa editrice, la "Ferrogallico". Per loro ho pubblicato "Almerigo Grilz - avventure di una vita al fronte" e "Brigate rosso sangue", questo albo presentato in Senato. Entrambi distribuiti da Mondadori. Tutte cose abbastanza impegnate. Sulla stessa collana, attualmente ho appena incominciato una storia scritta da Riccardo Pelliccetti e Fausto Biloslavo sulla strage di Bologna, che sto chinando or ora.

Emanuele: Come scegli le tue collaborazioni?

Francesco: Mi contattano i committenti, che ringrazio per la fiducia, ai quali do il meglio del mio lavoro.

Emanuele: Tutte storie in stile realistico. Cosa c'entra allora il tratto umoristico che utilizzasti per il disegno presentato al primo approccio al Barzi, con ciò che di solito fai?

Francesco: Mi sento più portato per lo stile umoristico! Per il realistico impiego più tempo e fatica e, ritengo, mi riesce meno. L'umoristico mi è sempre venuto più naturale.

Emanuele: Riguardo questo genere non hai, però, grosse collaborazioni alle spalle. O sbaglio?

Francesco: No, non molte... purtroppo. Sto facendo ora un libro di ricette per la Francia, "Petronille"; ho appena finito un fumetto locale, "I danzerini di Aviano"... ma non di più e me ne dispiace moltissimo. Qui in Italia non c'è molta cultura dell'umoristico a parte Topolino, Lupo Alberto e poco altro. Penso poi anche ai fumetti delle Edizioni Bianconi, purtroppo non più in edicola da anni... e ad altri ancora. Tanto per farti capire, nei primi anni Duemila avevo disegnato una serie di provini per “Kylion”, serie a fumetti pubblicata dalla Walt Disney Company Italia sotto la supervisione di Giulio de Vita; i provini furono accettati e, di conseguenza, accordata dalla redazione la mia annessione allo staff del progetto... ma prima che cominciasse effettivamente la collaborazione, la testata fu chiusa per vendite insufficienti. Quindi, attualmente... realistico comunque.

Emanuele: Mi hai citato due dei pochi capisaldi del fumetto umoristico Italiano: "Topolino" (anche se italiano non è) e "Lupo Alberto". Ma perché, a tuo avviso, questo genere qua da noi non riesce più a riscuotere successo?

Francesco: Purtroppo noto sempre più che, come popolo, abbiamo la tendenza a sperimentare poco e ad affezionarci e a restare su pochissime cose: storie, personaggi, programmi. Già dalla TV si vede che, più o meno, c'è un continuo rimestio di format per ricapitolarsi sempre a cose già viste. Parlando di fumetto, in Diabolik questo accade spessissimo. In Italia si legge Topolino, Tex e pochissimi altri Bonelli e Astorina... Di "sicuro", molto altro non c'è. E anche il "Don Camillo a fumetti", benché sia una pubblicazione relativamente nuova, si avvale di un personaggio che ha già un concreto e stabile fermo, sull'immaginario collettivo. Penso che l'umoristico non prenda molto per questo motivo. Siamo abitudinari, non interessati all'inedito.

Emanuele: Sì, certo... ma torniamo un po' a ragionare sui fumetti di casa "Bianconi". "Braccio di Ferro", "Geppo"... e quant'altro. Poi una volta c'era la casa editrice "Alpe". Potremmo forse dire che terminate le esperienze di intraprendenti editori d'altri tempi, col fatto che i giovani oggi non leggono più, sia proprio cambiata la cultura generale dell'approccio al fumetto?

Francesco: Credo di sì. Sento anche che c'è un preconcetto piuttosto stupido di base. Sembra che i più ritengano che il fumetto umoristico sia un genere di serie B. Più facile da disegnare, più veloce rispetto al bonelliano, tanto per fare nomi, e al realistico in generale. Si pensa forse che un fumetto, parlando qui soprattutto di disegno, sia più da apprezzare quanto più assomigli al vero. E che i personaggi umoristici siano "pippinotti", come si dice a Spilimbergo. Invece, spesso nelle mie conferenze ricordo al pubblico che il character che ha meno segni è il più difficile da disegnare... perché un segno sbagliato su pochi segni si nota subito, spesso falla il personaggio stesso. Mentre in un disegno con tratteggi, neri, ombre, sfondi, panneggi, anatomie ed espressioni realistiche, un segno sbagliato potrebbe anche risultare impercettibile.

Emanuele: Stai realizzando alcune illustrazioni per un libro di ricette per la Francia, mi dicevi. Queste - finalmente - in stile umoristico. Ma come fai a proporti al mercato d'oltralpe? Scrivi alle testate e alle case editrici?

Francesco: Beh... Contatti in comune che girano, passaparola... cose banali. Anche facebook: proprio per questo lascio pubblico il mio profilo e ogni tanto va bene.

Emanuele: Abbiamo accennato agli esordi, a quando eri impegnato in collaborazioni di carattere locale. Ma nel tuo curriculum non c'è soltanto fumetto. Mi riferisco alle sequenze animate che un po' d'anni fa realizzasti sulla Grande Guerra.

Francesco: Allora... quello era un progetto promosso dall'allora sindaco di Chiusaforte, un paesino in mezzo alle montagne in provincia di Udine, che aveva tirato fuori attraverso canali piuttosto particolari settantadue foto di immagini di Chiusaforte e voleva creare un video celebrativo in occasione dei cento anni dalla Grande Guerra. Un video a carattere locale, come tu hai sottolineato bene. Con dei tutorial su Youtube ho trovato il modo per poter creare piccole sequenze partendo dalle foto, dopo aver sistemato le immagini con Photoshop, pulendo tutto dalle impurità, dai graffi eccetera. Divisi poi gli elementi e creai virtualmente uno scenario 3D che con piccoli movimenti di camera, anche questa virtuale con il programma After Effects dell'Adobe, rese bene piccole sequenze di cinque, sei, sette secondi.

Emanuele: Sì, perché ormai oggi siamo tutti abituati agli straordinari effetti per ritocco che ci offrono piattaforme tipo Facebook (basti pensare alle immagini 3D che impazzano già da qualche mese, tra fotografi e disegnatori che si sbizzarriscono come vogliono)... ma cinque o sei anni fa le cose erano differenti. Per realizzare sequenze di quel tipo ci volevano determinate competenze e tu proponesti al pubblico un qualche cosa cui lo stesso non era ancora abituato. Attualmente, invece? Porti avanti altri simili progetti immagino...

Francesco: Beh, anche lì dipende da quello che mi propongono. Di recente ho fatto una "puntata 0" animata per il Paff, che qui a Pordenone è una piccola realtà fertile (per maggiori informazioni a riguardo, invito i lettori a visitare il sito paff.it). Su regia di Patrizio Baroni. Filmato depositato a Roma. Altri lavori che mi è capitato di animare sono book-trailer. Oppure, su commissione di Elio De Anna, la pubblicazione di tre spot antidoping. Ma anche questi ormai diversi anni fa.

Emanuele: Preferisci il fumetto o l'animazione? E quali sono le principali difficoltà e le differenze che incontri nell'una rispetto all'altro?

Francesco: Che bella domanda. Allora, diciamo che io nasco come illustratore fumettista e quindi in questo ambito ho il maggior numero di commissioni. Diciamo che come animatore ho molto meno e lavoro molto di rado, per cui l'animazione la faccio anche molto meno. Ma a parte questo, posso dire che il fumetto è per me un po' più concreto... nel senso che l'animazione, che io considero una naturale evoluzione del fumetto a diventare qualcosa di più complesso, di più strutturato, resta però un prodotto piuttosto aleatorio, cioè una cosa che tu vedi soltanto davanti a uno schermo, davanti a un computer o alla televisione, mentre invece il fumetto ti porta a creare qualcosa su un supporto cartaceo che poi ti resta tra le mani. Lo puoi sfogliare o regalare. Se si parla di fumetto cartaceo, ovviamente. Perché seppur convertiti al digitale, siamo comunque della vecchia scuola.

Emanuele: Per finire, da momento che tu lo hai accennato... Cosa pensi del fumetto digitale?

Francesco: Beh, è un mezzo. E dati i costi di stampa che sempre più paiono aumentare, è il mezzo a cui sarà bene abituarsi. È la questione dei libri e dei giornali che si leggono sullo schermo di un ipad. Chi è cresciuto analogico come me, ha difficoltà ad abituarcisi... Voglio dire, vuoi mettere sfogliare un fumetto e averlo tra le mani? Però, piaccia o no, ritengo sarà il futuro. Tra l'altro se volessi girare la frittata, potrei aggiungere che il fumetto digitale potrebbe avere effetti che sulla carta non esisterebbero. Magari sul digitale, le onomatopee diventerebbero sonore e si potrebbe pensare a doppiare i dialoghi, togliendo anche i baloons. Con un algoritmo, si potrebbero rendere le vignette 3D. Da un certo punto di vista, questa cosa mi solletica pure.


Illustrazioni per Petronille, edito da M+ Éditions


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Emanuele Upini